Dissonanze e parassiti

A. Kiefer, Et la terre tremble encore, d’avoir vu la fuite des géants, 1982

Il mio problema è che vivo in uno stato di dissonanza, dissonanza assordante tra la mia vita individuale, alla quale viene chiesto di inserirsi in percorsi grossomodo predeterminati, percorsi di professionalizzazione, di immissione in un mondo del lavoro disastroso, e la vita dell’intero sistema nel quale abito. Penso che gran parte del malessere che vedo attorno a me dipenda da questa dissonanza tra ciò che facciamo e ciò che sta succedendo a livello sistemico, che sicuramente non sono l’unico ad esperire, anche se mi concederò eccezionalmente di scrivere in prima persona. La dissonanza si manifesta spesso, in me, sotto il tipo psicologico della ‘inanità’, che può essere espresso più o meno così: “che senso ha prendere i c***o di Crediti Formativi per andare a insegnare a scuola, mentre il mondo sta letteralmente bruciando?”. Prima dissonanza, quindi, tra micro e macro, tra percorso della persona e mondo. E questo avviene perché la logica della vita individuale è pensata come una freccia, una direzione/intenzione, il mondo attuale no, non ragiona secondo una logica intenzionale del “paga dei costi oggi per ottenere dei benefici domani”. Questo modo di pensare ha raggiunto l’acme della sua vivacità durante quella che McNeil chiama ‘Grande Accelarazione’, ovvero quel breve periodo di crescita e consumismo trainato dall’energia del petrolio che si è manifestato nella seconda metà del novecento; abbiamo proiettato questa logica banale su praticamente tutto, ora stiamo pagando i conti del nostro idealismo. Questa dissonanza micro/macro si accompagna sempre ad un’altra considerazione, quindi: ciò che sto facendo della mia vita è un segmento di pratiche che appartengono ancora a quel mondo che in realtà sembra stia svanendo davanti ai miei occhi. Da qui segue una sorta di effetto zombie, per il quale mi racconto (e devo farlo quasi fosse un mantra quotidiano) che anche se quel mondo sta sparendo, queste nostre pratiche individuali di riproduzione della società, alle quali ci aggrappiamo, sopravviveranno nel deserto prossimo venturo; che la forma delle abitudini di lavoro e socializzazione che ci siamo dati e che diamo per scontate troveranno sempre naturalmente la loro “allocazione” con facilità, anche in un paesaggio pieno di fratture e ferite geo-economiche, climatiche e sociali. La dissonanza micro-macro dà così adito, dentro di me, ad una seconda dissonanza, la dissonanza presente-futuro. 

Le nostre vite sono diventate piene di dissonanze di questo tipo, dissonanza tra quello che faccio quotidianamente e ciò che succede macroscopicamente, tra ciò che faccio nel presente e ciò che ci prospetta il futuro. 

Mi sono altresì reso conto di una cosa, che costituisce forse la ragione principale delle nostre dissonanze: il parassitismo. La nostra società è piena di parassiti, il mondo è pieno di parassiti, l’economia è piena di parassiti, l’istruzione è piena di parassiti. I parassiti non solo si inseriscono e proliferano tra le dissonanze, ma le causano e le rinforzano. 

Cosa intendo per parassita? Vorrei darne una definizione a partire dalle suggestioni di Michel Serres, il quale pubblicò un intero saggio sul concetto di parassita (recentemente tradotto in italiano ). Attingendo a Serres propongo di mutuare gli elementi essenziali che servono per individuare un parassita. Innanzitutto, un indice molto chiaro di parassitismo è l’interposizione: tu vuoi andare da A a B ma qualcosa o qualcuno si pone nel mezzo del tuo percorso, chiedendoti qualcosa. Quindi per andare da A a B devi passare da C, il parassita. Nella nostra società sono tantissimi gli esempi di questo tipo: tu vuoi ottenere X, ma per ottenerlo devi passare da una serie di passaggi intermedi. Solitamente questi fenomeni di intermediazione sono giustificati con l’argomento del “blasone di ufficialità”: tutti gli oboli economici e di tempo che devi pagare sono finalizzati all’acquisizione di qualche tipo di ufficialità. Ma ci sono molte differenze. Prendiamo la patente. Costa, e non poco, ma lasciando stare questo aspetto, essa ha comunque una sorta di funzione concreta: testimonia che sei in grado di guidare e che quindi non stiamo mettendo per strada una persona pericolosa, ma che conosce i codici e le regole. Ma in moltissimi altri casi i fenomeni di intermediazione non servono a nulla, sono solo passaggi intermedi tra A e B che servono a suggere denaro, sono estrazione pura. Nel mio caso personale, la prima cosa che mi viene in mente è proprio il super farraginoso e tedioso percorso per arrivare all’insegnamento: il dottorato, che posseggo, non è abilitante. Ciò va solo a beneficio dei tanti enti parassitari (pubblici e privati) che rilasciano crediti, danno punteggi, ecc., suggono soldi. Non è come il caso della patente, è puro parassitismo. Potrei insegnare Socrate e Platone indipendentemente da questi oboli chiesti dalla gerarchia parassitaria.

Un altro segno che indica la presenza di parassitismo, oltre alla ‘interposizione’, è il fatto che il parassita di solito non produce nulla, ma si innesta su qualcosa o qualcuno che invece produce: il suo contributo, in altre parole, è quasi zero. Come scrive Serres: «La produzione, inattesa, improbabile, tracima di informazione sovrabbondante: è sempre e immediatamente parassitata.»

Uno degli esempli contemporanei più plateali di questo tipo di parassitismo è ciò che stanno cercando di fare con la fabbrica GKN di Firenze. E qui introduco già un tipo ben specifico di parassita: il parassita finanziario, il quale non produce nulla, sugge danaro anche a scapito della produzione. Cosa succede allo stabilimento GKN di Firenze da un anno a questa parte? Semplice, stanno subendo un vergognoso processo di smantellamento, che rischia di mandare a casa moltissimi lavoratori, e altrettante famiglie. Questo è solo l’ultimo epigono di una tendenza di lunga durata di smantellamento della capacità industriale italiana, fenomeno ben compendiato dal sociologo Luciano Gallino nel suo La scomparsa dell’Italia industriale (Einaudi, Torino, 2003). 

Che cosa succede, in soldoni? Il parassita finanziario – nelle parole del collettivo GKN stesso – «reclama uno stabilimento per distruggerlo e incassare il rialzo borsistico», fregandosene delle conseguenze a lungo termine, fregandosene quindi di 500 posti di lavoro, nonché di «uno stabilimento costruito da decenni di storia operaia e professionalità» (Insorgiamo. Diario collettivo di una lotta operaia (e non solo), Alegre, Roma, 2022, p. 27). Il Fondo finanziario non produce nulla, sabota e svende la materialità dell’economia reale quando gli conviene, estrae il più possibile senza dare nulla in cambio: «Avevamo chiaro che mentre noi produciamo semiassi, un Fondo finanziario produce ristrutturazioni e licenziamenti e guadagna su quei licenziamenti e su quelle ristrutturazioni. Questo è quello che fanno, questo è il loro mestiere.» (Ivi, p. 44). 

Per giustificare queste operazioni mortifere e scellerate i parassiti finanziari hanno avuto il coraggio di portare avanti finanche la scusa della transizione ecologica: ma i semiassi prodotti da GKN si montano anche sulle vetture elettriche…

La fabbrica si ferma – interposizione – e il Fondo finanziario vuole incassare solo i soldi della svendita – improduttività; eccoli, i segni che siamo in presenza di parassiti.

Il caso GKN non è isolato. A Palermo, 543 operatori di call center dell’ex Alitalia – dietro ci sono altrettante famiglie – rischiano di venir cancellati con un colpo di spugna. Si promette un accordo di reintegrazione, tramite l’azienda Covisian, si fa passare un po’ di tempo, e l’accordo viene disatteso; bisogna aggiungere “disatteso col beneplacito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”. Intanto il parassita finanziario, manager o che dir si voglia, intasca somme che sono pari anche a dieci o venti volte quelle di un operaio. Ma il parassita manageriale non vede l’industria, non vede un tessuto sociale spalmato sul territorio, per lui le cose stanno diversamente: egli è in fondo convinto «che l’industria, a ben vedere, è in fondo solamente un’appendice fastidiosa della finanza, perché obbliga a faticare di più mentre fa guadagnare di meno» (Gallino, p. 6).

Il parassita finanziario dice di voler fare la transizione ecologica, ma sono solo parole. Il gestore di capitali BlackRock non vuole inquinare, ma in quanto principale azionista delle maggiori società del carbone e dei pesticidi, delle società che vogliono privatizzare l’acqua in India e Brasile, le sue rimarranno solo parole. Dopo di me il diluvio! Il parassita finanziario va ovunque ci sia un bisogno reale, come nel caso delle abitazioni. Si infilano, si interpongono tra il bisogno di abitare (A) e l’abitazione effettiva (B) e tra A e B mettono e promuovono rincari degli affitti, con la scusa anche della modernizzazione. Si veda il caso di Vonovia, agenzia guidata da BlackRock, che fa fare utili agli azionisti sulle spalle di chi vive in case in affitto ( W. Rügemer, Capitalisti del XXI secolo. I nuovi operatori finanziri, Castelvecchi, Roma, 2021). 

Una possibile obiezione potrebbe essere sollevata a questo punto. Mi si potrebbe dire: così sei incoerente, delle due l’una, o dici che sono solo dei parassiti e che ne approfittano delle vita e della produzione altrui, oppure dici che stanno in posizione di comando. Giusto. Apparentemente le due immagini sembrano cozzare l’una con l’altra, ma in realtà non è così. La natura è ricca di esempi in cui il parassita, ovvero l’ultimo arrivato nella catena, assurge a ruolo di comando. Il fungo Cordyceps, per esempio, una volta infettato l’ospite (come nel caso delle formiche) lo trasforma in uno zombie al suo comando, prende letteralmente a muoverlo come fosse un burattino. L’ultimo arrivato nella catena causale, il più distaccato dalla materialità, il più “epifenomenico”, si innesta in realtà nella cabina di comando, muove la società, la menoma a piacere: «Nella catena parassitaria, l’ultimo arrivato tenta di soppiantare chi lo precede» (Serres, p. 26).

La nostra società e le nostre vite sono piene di parassiti che si frappongono tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. Se tieni in mente i criteri per la loro individuazione li troverai ovunque: dal manager al politico, dal barone universitario al gestore di capitale. Ma quando ce ne libereremo?

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